28 20 marzo 2013 sfoglia numero

Biodiversità

Anfibi in strada

Enrico Romanazzi
Arianna Spada
L'effetto delle infrastrutture lineari sulle popolazioni di anfibi. Soluzioni per la salvaguardia delle specie.

Oggi gli anfibi rappresentano uno dei gruppi faunistici più minacciati a livello globale: in base ai dati raccolti dagli esperti della Daptf1, il 32% delle oltre 6700 specie di anfibi conosciute sono minacciate o estinte, il 42% hanno popolazioni in calo e solo l’1% mostra popolazioni in crescita.

Le infrastrutture lineari e la migrazione
La crescita della popolazione umana e della rete di trasporti ha comportato il relativo interesse da parte delle comunità scientifiche riguardo le interazioni tra la fauna selvatica e le infrastrutture di origine antropica. Questo interesse è sfociato nella creazione di una nuova disciplina scientifica chiamata Road ecology.
Le infrastrutture stradali hanno effetti negativi diretti sulla fauna selvatica in quanto incrementano la mortalità dovuta alla collisione coi veicoli e modificano il normale comportamento degli animali. L’investimento stradale è infatti una delle principali fonti antropiche di mortalità e ha effetti particolarmente negativi sulle popolazioni di specie minacciate e in pericolo. Le strade causano anche perdita di habitat, frammentazione delle popolazioni, alterazioni fisiche e chimiche dell’ambiente, e sono un vettore di diffusione per le specie alloctone. Inoltre, queste infrastrutture sono delle vere e proprie barriere per i movimenti degli animali poiché riducono la connettività tra le popolazioni, diminuiscono lo scambio genetico e limitano le dinamiche di popolazione, causando di fatto gravi problemi quali l’incrocio tra consanguinei e la perdita di diversità genetica. La realizzazione di nuove strade agevola la costruzione di ulteriori insediamenti antropici, più o meno estesi, che comportano altri effetti negativi sulla fauna selvatica.
Rana di Lataste investita.JPG






















Le infrastrutture e gli anfibi
Tra i vertebrati, gli anfibi presentano caratteristiche fisiologiche, ecologiche ed etologiche che li rendono estremamente vulnerabili alla presenza di strade e altre infrastrutture antropiche. Questi animali si muovono lentamente e hanno una bassa capacità di spostamento, se paragonati ad altri vertebrati come gli uccelli e i mammiferi. Molte specie di anfibi mostrano un ciclo di attività particolarmente complesso che comprende periodiche migrazioni attraverso varie tipologie di ambienti durante i diversi mesi dell’anno. Durante le migrazioni, i tassi di mortalità associati agli investimenti stradali sono spesso in grado di causare effetti negativi importanti a livello di popolazione. In più, la pelle estremamente permeabile rende gli anfibi sensibili all’inquinamento stradale.
Tra fine febbraio e fine aprile gli anfibi adulti compiono spostamenti in massa, soprattutto durante le notti piovose. Ulteriori movimenti di una certa consistenza si osservano durante le piogge autunnali, ma soprattutto in concomitanza con l’uscita dall’acqua dei piccoli neometamorfosati che, in area prealpina, avviene in genere verso la metà di giugno.
Individuare con esattezza l’inizio e la fine dei fenomeni di migrazione a scopo riproduttivo non è facile. Ogni specie ha un determinato ciclo annuale e particolari siti di svernamento. Ci possono essere piccoli o grandi movimenti migratori in concomitanza con piogge intense e temperature relativamente miti anche a fine gennaio, a volte con conseguenze mortali se le temperature subiscono improvvisi cali e gli anfibi non hanno possibilità di trovare rifugio in siti sotterranei o acquatici. I movimenti migratori avvengono dal crepuscolo e proseguono generalmente durante tutta la notte. Le fasce orarie maggiormente a rischio di incidenti stradali sono quelle attorno al tramonto, quando la maggior parte degli anfibi parte dai rifugi diurni per raggiungere le zone umide e il traffico veicolare aumenta per il rientro degli automobilisti dal lavoro.

I salvataggi in Italia
Le migrazioni degli anfibi, in particolare quelle primaverili, sono ben note in tutto il mondo e sono oggetto di ormai decennali azioni di conservazione soprattutto in Europa. Dalla fine degli anni 80 del secolo scorso è attivo in Italia il “Progetto Rospi”, coordinato dal Centro studi Arcadia (http://www.centrostudiarcadia.it/), struttura scientifica fondata da Vincenzo Ferri. Questo progetto ha promosso e coordinato sul territorio nazionale iniziative di conservazione e ricerca riguardanti soprattutto gli anfibi in migrazione e, tra le altre cose, ha permesso di organizzare quattro convegni scientifici internazionali dedicati alla salvaguardia degli anfibi. Oggi, sono quasi un centinaio in Italia le località dove si svolgono annualmente campagne di volontariato dedicate al salvataggio degli anfibi in migrazione e sempre più numerosi sono anche gli interventi di mitigazione, tramite opere fisse, effettuati su strade già presenti o su nuove infrastrutture. Dal 2013, nell’ambito della Societas herpetologica italica – la società scientifica di riferimento a livello nazionale per lo studio e la conservazione di anfibi e rettili (http://www-3.unipv.it/-webshi/welcome.htm) – è stato deciso di aderire al progetto europeo Toads on roads promosso dall’associa-zione inglese Froglife. Il progetto ha l’obiettivo di creare una piattaforma a livello europeo dove condividere pratiche da adottare per ridurre la mortalità degli anfibi sulle strade grazie all’utilizzo dei tunnel stradali. Tra gli obiettivi vi è quello di creare una mappa dei tunnel realizzati in Europa2.

Progettare a misura di anfibio
Per le nuove strade da progettare sono necessari studi approfonditi che considerino tutte le componenti dell’ecosistema. È quindi importante individuare i siti riproduttivi e di rifugio, le zone di svernamento e quelle di residenza estiva. In fase di progettazione di nuove infrastrutture si dovrà operare in modo che queste risultino il più possibile “isolate” dal resto del territorio (per impedire l’ingresso in carreggiata da parte della fauna) e “permeabili”, ossia capaci di favorire il passaggio della fauna sopra o sotto, mediante la realizzazione di sottopassi oppure di ponti.
Ecodotto.JPG






















Nel caso di infrastrutture già esistenti, risulta ovviamente più difficile intervenire sia per ragioni tecniche che economiche. In questo caso, vi possono essere due strategie di intervento: la temporanea chiusura della strada al traffico oppure la realizzazione di opere atte a impedire l’ingresso degli animali sulla carreggiata e contemporaneamente garantirne il libero passaggio o la riproduzione.
La prima strategia è attuabile solo nel caso siano presenti strade alternative su cui deviare il traffico. La chiusura al traffico viene attuata tramite un’ordinanza da parte dell’autorità competente e riguarda la chiusura della strada per i non residenti durante i giorni di migrazione (in genere tra fine febbraio e fine marzo-aprile, a seconda dei casi) negli orari serali e notturni (tra le 18-19 e le 6 del mattino). Per i residenti viene ovviamente mantenuto libero il passaggio ma, allo stesso tempo, è importante predisporre un’adeguata campagna di sensibilizzazione. Questa strategia risulta efficace per la salvaguardia degli adulti durante la stagione riproduttiva, ma non è di nessun aiuto per il restante periodo dell’anno, soprattutto per la fase di uscita in massa dei piccoli neometamorfosati dai siti riproduttivi, per i quali è in genere imprevedibile stabilire il periodo di uscita.
La seconda strategia consiste nella modifica di alcune caratteristiche dell’infrastruttura e comprende sia opere atte a impedire l’ingresso in carreggiata sia opere che garantiscano il libero passaggio e la riproduzione per la popolazione. Per impedire l’ingresso della fauna nella sede stradale si possono usare barriere o pareti-guida di tipo temporaneo (note anche come barriere “mobili” o anche “di emergenza”) oppure permanente (dette anche barriere “fisse”). Queste strutture, se associate a sottopassaggi o ponti faunistici, sono indispensabili per convogliare in sicurezza gli animali al di là delle strade e garantirne così il libero movimento.
Barriere temporanee in rete.jpg






















Le barriere temporanee o mobili dovrebbero essere utilizzate per lo più in situazioni di emergenza, in quanto sono strutture relativamente economiche e facilmente installabili (materie plastiche, fogli rigidi in plexiglass, plastica morbida opaca o trasparente, rete antigrandine o di altro tipo), ma presentano diversi svantaggi rispetto alla barriere di tipo fisso. In primo luogo devono essere posizionate e rimosse ogni stagione e questo comporta elevate spese in termini di manodopera, consumo di materiale (soprattutto filo di ferro, fascette di plastica e altro materiale per legare i paletti alle reti) e necessità di individuare un luogo dove stoccare il tutto durante il restante periodo dell’anno. Inoltre, l’impiego di questo tipo di barriera comporta il costante impegno da parte di personale volontario in orario notturno in strade trafficate e spesso poco illuminate. L’esito dei salvataggi è a carico dei volontari che operano in condizioni metereologiche talvolta proibitive e in condizioni di sicurezza precarie per un arco temporale che può superare in alcune annate anche le 50-60 notti di lavoro. Infine, non sempre questo tipo di barriera si rivela efficace nel contenimento delle specie di anfibi, per esempio quelle costituite da reti in plastica o metallo possono essere oltrepassate dagli anfibi che si arrampicano sulle maglie delle reti oppure sfruttano le irregolarità del terreno che creano piccoli varchi nella barriera. Infine possono essere facilmente rimosse da malintenzionati o rivelarsi in alcuni casi anche pericolose per la loro vicinanza alla sede stradale, in caso di urto fortuito soprattutto per chi viaggia in bicicletta.
Barriere temporanee in plastica.JPG






















Se collocate nei punti focali di attraversamento, le barriere di tipo fisso rappresentano, invece, la soluzione definitiva e più efficace. Consentono infatti la salvaguardia degli anfibi non solo nel periodo delle migrazioni primaverili, ma anche nel periodo autunnale, quando questi animali rientrano ai siti di svernamento e, più in generale, in tutti i momenti dell’anno in cui queste specie sono attive e si spostano alla ricerca di nutrimento o luoghi di rifugio. Inoltre, rimanendo in loco tutto l’anno, queste strutture consentono la salvaguardia di numerosi altri gruppi di animali di piccola e media taglia, come rettili, mammiferi e invertebrati terricoli.
In commercio esistono barriere alte 40-50 cm costituite da materiale inerte (calcestruzzo, calcestruzzo polimerico o metallo) oppure da materiale plastico (plastica riciclata, tubi corrugati, plexiglass, canalette di drenaggio poste verticalmente) che le rendono robuste e difficilmente danneggiabili o rimuovibili.
Inoltre, dal lato di campagna (da cui provengono gli animali), presentano superfici lisce e bordo superiore incurvato in modo da impedire lo scavalcamento e l’attraversamento della strada, mentre dal lato della sede stradale sono ricoperte di terreno, in modo da favorire il passaggio di eventuali animali presenti sulla carreggiata.
Altri vantaggi collegati a questo tipo di strutture sono la facile installazione e manutenzione (sfalcio periodico), la possibilità di rapida sostituzione, poiché sono composte da moduli, e la maggiore sicurezza stradale rispetto alle strutture temporanee.
Alle barriere fisse, che devono essere posate su entrambi i lati delle strade interessate dai fenomeni migratori, devono essere associati dei sottopassaggi o tunnel, utilizzando a tal fine tutti i manufatti eventualmente già esistenti in genere adibiti al drenaggio delle acque meteoriche, che possano essere direttamente usati dagli anfibi oppure opportunamente modificati tramite scalette, rampe e altri elementi. Più spesso si deve procedere con la costruzione ex novo di sottopassi faunistici mediante scavo e successiva posa al di sotto del manto stradale. È importante sottolineare che questi tunnel permettono agli animali di attraversare autonomamente le strade, rendendo di fatto non più necessarie le attività di trasbordo a carico dei volontari.
I tunnel sono generalmente costruiti in calcestruzzo o altro materiale carrabile. La loro efficacia è garantita solo se le barriere vengono posizionate allo stesso livello dell’ingresso dei sottopassi, o a un piano inferiore, possibilmente disposte a “V” con l’apice rivolto verso l’entrata e l’uscita dei tubi, permettendo ai soggetti di convergere verso il punto di passaggio.
I tunnel devono avere una apertura minima di 40-50 cm di lato, e altezza minima di 50 cm (ottimali in entrambe le direzioni almeno 80-100 cm), possono essere aperti sul lato superiore tramite griglie di aerazione, oppure sul lato inferiore, a diretto contatto con il suolo: in entrambi i casi l’apertura ha la funzione di garantire una certa umidità interna, favorevole al transito degli anfibi. I piccoli tunnel (50 x 50 cm) possono essere l’unica soluzione percorribile in caso di substrati rocciosi o presenza di opere sottostradali come cavi o tubi di servizio. La sezione quadrangolare è preferibile rispetto a quella circolare poiché garantisce una maggiore superficie utile all’attraversamento da parte della fauna.
Questi sottopassaggi possono essere associati a funzioni di drenaggio delle acque piovane e quindi possono essere installati anche con questa motivazione aggiuntiva che riguarda la sicurezza stradale. Importante in ogni caso è che vi sia una pendenza di circa l’1% in modo da evitare ristagni d’acqua o allagamenti. La distanza tra questi elementi può andare dai 50 ai 200 metri in base alle conoscenze disponibili.
La posa di barriere, sottopassi e ponti faunistici deve essere possibilmente accompagnata da altri interventi strutturali in modo da aumentare l’efficacia delle iniziative di salvaguardia finalizzate alla conservazione degli anfibi nel lungo termine.
In particolare, è auspicabile affiancare a queste strutture un’opportuna segnaletica verticale per informare la popolazione delle iniziative di conservazione in atto e mitigare il problema della sicurezza stradale per pedoni, ciclisti e automobilisti, in particolare nei tratti stradali più interessati dai fenomeni migratori. Per garantire l’efficacia di questi cartelli, è inoltre molto importante che la loro presenza sia visibile solo durante la stagione riproduttiva degli anfibi al fine di stimolare l’attenzione dei conducenti dei mezzi a motore durante i momenti più critici dell’anno. Oggi risulta a norma di legge solo il segnale stradale “Attenzione animali selvatici vaganti”, ai sensi del Dpr 16 dicembre 1992, n. 495 “Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo Codice della strada”. Altri simboli non sono ammessi per cui può essere utile ricorrere a pannelli integrativi (per esempio con scritte come “presenza di anfibi sulla carreggiata” e gli orari di transito – generalmente dalle 18 alle 6) o segnali luminosi intermittenti.
Altri interventi che dovrebbero essere realizzati in concomitanza con le opere di mitigazione della mortalità stradale sono il recupero e/o gestione di zone umide, ubicate in zone strategicamente importanti per i fenomeni migratori, e la realizzazione di siti riproduttivi alternativi al fine di “deviare” i flussi migratori degli anfibi il più lontano possibile dalle strade maggiormente trafficate.

Riferimenti bibliografici
Battisti C., 2004. Frammentazione ambientale, connettività, reti ecologiche. Un contributo teorico e metodologico con particolare riferimento alla fauna selvatica. Provincia di Roma, Assessorato alle politiche agricole, ambientali e protezione civile.

Bonardi A., Manenti R., Ferri V., Fiacchini D., Macchi S., Romanazzi E., Soccini C., Bottoni L., Padoa-Schioppa E., Ficetola G.F., 2011. Usefulness of volunteer data to measure the large scale decline of ‘common’ toad populations. Biological conservation, 144, 2328-2334.

Colino-Rabanal V.J., Lizana M., 2012. Herpetofauna and roads: a review. Basic and applied herpetology, 26, 5-31.

Dinetti M., 2012. Progettazione ecologica delle infrastrutture di trasporto. Felici Editore.

Giovine G., Corbetta A., 2003. SOS Bufo bufo: il salvataggio anfibi in Val Cavallina. Regione Lombardia, Comunità montana Val Cavallina, Museo della Val Cavallina.

Maddalena T., Fossati A., 2003. Strategia cantonale per lo studio e la protezione degli anfibi e dei rettili: principi e indirizzi. Dipartimento del territorio, ufficio protezione della natura, Museo cantonale di storia naturale, Bellinzona.

Romanazzi E., 2011. Interventi di conservazione attiva per gli Anfibi in provincia di Treviso tra il 2003 e il 2011: primi risultati, problematiche e prospettive future. Atti 4° Convegno nazionale salvaguardia anfibi, Idro (BS). Pianura, 27: 73-75.

Scoccianti C., 2001. Amphibia: aspetti di ecologia della conservazione. Wwf Italia, sezione Toscana. Editore Guido Persichino Grafica, Firenze.




  Enrico Romanazzi
laureato in Scienze naturali presso l’Università degli Studi di Padova, si occupa di divulgazione scientifica e pianificazione territoriale


Arianna Spada
laureata in scienze naturali vanta numerose esperienze nel campo della divulgazione scientifica e della pianificazione territoriale



1   Declining amphibian populations task force, organizzazione fondata nel 1991 dalla Species survival commission (Ssc) e dalla International union for conservation of nature (Iucn). Formata da ricercatori provenienti da tutto il mondo studia le cause del declino delle popolazioni di anfibi.

2 http://www.froglife.org/toadsonroads/maps.htm

Temi associati a questo articolo: Ambiente, Benessere animale, Biodiversità, Habitat, Natura


 
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